«Pensiero selvaggio» è l’ossimoro, soltanto apparente, creato
da Lévi-Strauss per indicare il vincolo che unisce la «società occidentale»
alle popolazioni a lei più remote: è ciò che permette a un indiano americano di
ritrovare una pista da indizi infi nitesimali, a un nativo australiano di
identificare le impronte su un sentiero, a un automobilista di muoversi con
disinvoltura nel traffico metropolitano. Alla ricerca di universali capaci di
accomunare ogni uomo in un’unica disposizione cognitiva, Lévi-Strauss individua
una struttura, profonda e razionale, grazie alla quale tutte le società
elaborano i propri miti e credenze, realizzano il radicamento territoriale e
l’organizzazione sociale dei propri componenti, e sviluppano strumenti pratici
e complesse tassonomie. La loro necessità, prettamente umana, è di trarre un
ordine dal fluire indistinto del reale. Il Saggiatore ripropone oggi
quest’opera capitale dello strutturalismo che, pur segnando un punto di svolta
nel pensiero antropologico, ha saputo varcare i propri confi ni disciplinari
intervenendo nel più ampio dibattito culturale del Novecento. A cominciare dal
secco rifiuto di un universalismo astratto ed eurocentrico – evidente nella
polemica contro La critica della ragion dialettica di Sartre – che, concepito
al tramonto del colonialismo, non ha mai smesso di essere attuale.
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