Salento, "terra
del rimorso", "terra del cattivo passato che torna e opprime col suo
rigurgito". Qui, nel giugno 1959, un'équipe guidata da Ernesto De Martino
e formata da uno psichiatra, uno psicologo, un musicologo e un sociologo
condusse una ricerca etnografica per studiare il tarantismo, antico rito
contadino caratterizzato dal simbolismo della taranta - il ragno che morde e
avvelena - e dalla potenza estatica e terapeutica della musica e della danza.
L'obiettivo era verificare se il tarantismo fosse una patologia medica
specifica o, piuttosto, la manifestazione molto fisica di un rito di passaggio.
Il gruppo di De Martino raccolse interviste a donne e uomini morsi dalla
taranta, o che avevano avuto un congiunto a sua volta colpito, oltre ad
assistere in prima persona al delirio dei tarantati. Dall'analisi dei dati e
dal confronto tra le esperienze singole, De Martino colse alcuni elementi
simbolici ricorrenti: il periodo della vita - la pubertà e, per le donne, il
menarca - e l'ora del giorno, le dodici, in cui si consuma il primo morso; la
recrudescenza ciclica, in alcuni casi annuale, dei suoi effetti; l'esorcismo e
la visione di san Paolo, che annuncia ai posseduti l'imminente guarigione. Ogni
elemento contribuisce a una rappresentazione liminale tra sacro e profano e
avvalora la tesi del rito iniziatico, ripetuto nel tempo e ordinato da regole
antichissime.
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